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ADHD - Disturbo da Deficit dell'Attenzione e Iperattività

Aggiornamento: 9 gen 2019


Dott. Alessio Sirabella DSA Torino
ADHD

ADHD è l’acronimo di Attention Deficit Hyperactivity Disorder, conosciuto in Italia con il nome di Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività.

Si tratta di un disturbo neurobiologico con esordio infantile, caratterizzato da marcati, persistenti e maladattivi livelli di inattenzione, impulsività e iperattività, che sono inadeguati rispetto all’età.

È stato stimato inoltre che il disturbo si può presentare spesso in comorbidità con altri disturbi. Tra questi, i più frequenti sono: Disturbo Oppositivo Provocatorio (>50%), problemi di condotta e difficoltà antisociali (25-45%), bassa autostima, depressione (25%), personalità antisociale (10-25%), uso/abuso di sostanze (10-25%), Disturbi dell’Apprendimento (25-40%).


Rispetto alla diagnosi,

va detto che non risulta facile riconoscere l’ADHD in età prescolare (3-6 anni), è comune infatti che molti bambini presentino una marcata iperattività, crisi di rabbia, un gioco prevalentemente motorio e litigiosità. È durante la scuola elementare (6-12 anni) che avviene più frequentemente la diagnosi in quanto sono più evidenti le differenze tra le manifestazioni del bambino ADHD e quelle dei suoi coetanei.

Rispetto alla comorbidità con i DSA (Disturbi Specifici dell’Apprendimento),

Va detto che bambini e adolescenti ADHD presentano un’alta prevalenza di disturbi della scrittura, oltre che della lettura e delle abilità matematiche. Inoltre se tali difficoltà non sono opportunamente identificate nel corso dell’assessment e trattate adeguatamente, il solo trattamento su l’ADHD, focalizzato principalmente sulla diminuzione dell’iperattività e sull’aumento delle capacità di concentrazione, non produrrà miglioramenti significativi rispetto alle difficoltà di apprendimento.

Tornando alla diagnosi,

la batteria Italiana per l’ADHD (BIA) offre una gamma di strumenti utili per comprendere problemi specifici presentati dal bambino con caratteristiche di disattenzione e impulsività, e/o con difficoltà nei processi esecutivi esecutivi, nel controllo della risposta e della memoria.


La diagnosi di ADHD è un processo molto complesso.

Un primo problema è costituito dal fatto che i bambini ADHD riescono a mantenere un comportamento controllato nel setting della valutazione, è quindi possibile che lo psicologo non riscontri i comportamenti sintomatici che sono invece presenti nella vita quotidiana.

Anche per questa ragione, i manuali diagnostici per effettuare una diagnosi richiedono una valutazione di tipo comportamentale, ossia una rilevazione della presenza dei sintomi in almeno 2 contesti di vita del bambino.


Dott. Alessio Sirabella DSA Torino
ADHD

È possibile schematizzare il processo diagnostico dell’ADHD in 4 fasi:
  1. La raccolta di informazioni da fonti multiple (genitori, insegnanti, educatori) utilizzando interviste semi-strutturate e /o questionari standardizzati sui diversi aspetti del comportamento e del funzionamento sociale del bambino;

  2. Un’intervista al bambino stesso, per indagare il livello di consapevolezza delle proprie difficoltà e i vissuti ad esso associati;

  3. Una valutazione neuropsicologica e una valutazione degli apprendimenti;

  4. Possibilmente un’osservazione clinica strutturata o semi-strutturata in un contesto familiare per il bambino.

Per quanto riguarda la prima e la seconda fase, nei colloqui clinici è importante indagare sia con i genitori che con il bambino:

  • La percezione che essi stessi hanno della propria situazione;

  • Il grado di consapevolezza, di stress e di frustrazione che provano.

Anche il colloquio con gli insegnanti è importante perché permette al clinico di capire:

  • Se il bambino manifesta comportamenti di disattenzione e/o iperattività in classe;

  • Se questi comportamenti si manifestano in particolari momenti della giornata o con alcuni insegnanti piuttosto che con altri;

  • Se il bambino manifesta delle difficoltà scolastiche generali o specifiche;

  • Se è capace di gestire autonomamente il proprio materiale (libri, quaderni) e i compiti a casa;

  • Se il bambino presenta delle difficoltà a rapportarsi con i coetanei.

Per quanto riguarda la terza fase va ricordato che non esiste un test in grado di stabilire con certezza la presenza del disturbo.


La valutazione cognitiva e neuropsicologica ha lo scopo di ottenere conferme per la diagnosi, di delineare il profilo funzionale del bambino, e di programmare un intervento riabilitativo di tipo cognitivo.

La valutazione neuropsicologica include una valutazione delle seguenti aree:
  • Abilità cognitive generali (QI)

  • Attenzione sostenuta

  • Impulsività

  • Pianificazione e uso di strategie

  • Inibizione

In questa logica di valutazione, la Batteria Italiana per l’ADHD presenta 5 categorie di strumenti utili allo scopo:

  1. Questionari per la valutazione del comportamento del bambino nei suoi due principali contesti di vita (casa, scuola), alcuni specifici per l’ADHD (SDAI, SDAG, SDAB) e altri più generali per la valutazione di eventuali comorbidità (Questionario COM);

  2. Test per la valutazione dell’attenzione sostenuta sia visiva (CP) che uditiva (TAU);

  3. Test per la valutazione del comportamento impulsivo (MF);

  4. Test per la valutazione dei processi di controllo nelle sue diverse sfumature: Test delle Ranette (inibizione motoria), Test di Stroop (inibizione risposta prepotente), Completamento Alternativo di Frasi (CAF);

  5. Test di memoria strategica verbale (TMSV) per la valutazione delle strategie di memoria.

In conclusione va detto che, il trattamento dell’ADHD richiede l’attivazione di un intervento mirato sul bambino con l’obiettivo di migliorare il suo comportamento attraverso un Training volto a:

  • All’insegnamento di tecniche di auto-controllo, di gestione della rabbia, di risoluzione dei problemi,

  • Al miglioramento dei comportamenti impulsivi e inadeguati,

  • Al miglioramento delle relazioni interpersonali con genitori, insegnanti e coetanei,

  • Al miglioramento delle capacità di apprendimento,

  • All’aumento dell’autonomi e dell’autostima.

Fondamentale risulta essere anche l’intervento sui genitori, attraverso l’attivazione di un Parent Training lo psicologo dovrà lavorare con la coppia genitoriale per:

  • Fornire informazioni corrette rispetto alle difficoltà del bambino,

  • Chiarire gli scopi dell’intervento e gli obiettivi da raggiungere,

  • Rielaborare le modalità di relazione disfunzionali tra genitori e figli,

  • Aumentare la frequenza dei comportamenti desiderabili del bambino attraverso tecniche di rinforzo,

  • Insegnare a riconoscere l’importanza degli antecedenti e delle conseguenze, in modo da poter contestualizzare i comportamenti problematici del figlio,

  • Individuare regole chiare e condivise, in modo da poter facilitare la gestione del comportamento del bambino,

  • Insegnare strategie di problem solving, di comunicazione e ascolto attivo, e tecniche di gestione per i comportamenti problematici del figlio.


 
 
 

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